lunedì 12 novembre 2012

Giovani dentro by HermioneGinny

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 HUNGER GAMES di SUZANNE COLLINS
In un futuro post-apocalittico il Nord America non esiste più. Al suo posto c'è Panem. La capitale è la ricca e avveniristica Capitol City, circondata da tredici distretti. Decenni prima i distretti si sono ribellati e la capitale per punizione ha distrutto il Distretto 13 e ha inventato gli Hunger Games: ogni anno i distretti devono sorteggiare un ragazzo e una ragazza tra i dodici e i diciotto anni, che partecipano a un reality show molto particolare. Infatti vince l'unico che rimane in vita. Una lotta all'ultimo sangue, tra fame, eventi climatici avversi, ibridi e ferite, ogni giorno più difficile del precedente per non annoiare i telespettatori. Un sadico gioco al massacro, seguitissimo, con ricchi sponsor che mandano doni ai tributi più promettenti.
Quando viene estratto il nome della sorella Prim, Katniss si offre volontaria al suo posto. Lei è abituata a cacciare oltre la recinzione, mentre la piccola Prim curerebbe ogni gatto pieno di vermi che incontra. Non resisterebbe nemmeno un minuto nell'arena. Insieme a Katniss è estratto Peeta, il figlio del fornaio, con il quale ha un debito antico. E ora deve scegliere tra la sopravvivenza e la gratitudine, tra nuovo e vecchio, tra amicizia e amore. Che gli Hunger Games abbiano inizio. E che la buona sorte sia sempre con voi.

Spietato.Panem è un incubo pieno di cinismo totalitaristico, dove si può solo obbedire, mai dissentire, pena punizioni terribili (come diventare servi senza-voce, a cui è stata tagliata la lingua). I tributi riportano alla mente i gladiatori, perché devono combattere per la vita; il mito del Minotauro (per punizione Atene doveva spedire a Creta ogni anno sette ragazzi e sette ragazze), anche se qui la mietitura è causa di diseguaglianza sociale, infatti i ragazzi più poveri possono acquistare delle tessere per il cibo, ma ogni tessera costa una possibilità in più di essere estratti, e ogni anno le nomination si sommano alle precedenti; i reality-show, con il loro modo di obnubilare la mente degli spettatori e convincerli ad accettare scene turpi e gli sponsor che aiutano solo i tributi più belli, affascinanti e coraggiosi.
Straziante. L'amore di Katniss per Prim, il suo amore-odio per la madre, la repulsione per ciò che sono costrette a subire, la mancanza di speranza per il futuro (ricorda niente? Anche nella realtà i giovani sono gli oppressi, costretti a subire decisioni dall'alto). L'affetto per Gale e la riconoscenza per Peeta. E la piccola Rue, credo non si possa restare a occhi asciutti davanti alla sua fine. Il calore del Distretto 11, con il piccolo costoso pane donato a Katniss per la sua gentilezza. E il gesto del Distretto 12, il regalo di Madge e i biscotti del fornaio (piccola selezione dei momenti da fazzoletto).
Un romanzo straordinario, che consiglio a tutti (e che ho già iniziato a regalare ai miei seguaci harrypotteriani).

Dalle parole dell'autrice
* Non appena l'orologio cittadino batte le due, il sindaco sale sulla pedana e comincia a leggere. È la stessa storia ogni anno. Racconta di Panem, la nazione risorta dalle ceneri di un luogo un tempo chiamato Nord America. Elenca i disastri, le siccità, gli uragani, gli incendi, l'avanzare dei mari che inghiottirono buona parte della terraferma, la lotta brutale per le poche risorse rimaste. Il risultato fu Panem, una splendente Capitol City attorniata da tredici distretti, che portò pace e prosperità ai suoi cittadini. Poi vennero i Giorni Bui, la rivolta dei distretti contro la capitale. Dodici furono sconfitti, il tredicesimo distrutto. Il Trattato del Tradimento ci diede nuove leggi, per assicurare la pace e per ricordarci ogni anno che i Giorni Bui non dovranno più ripetersi, e ci diede anche gli Hunger Games. Le regole sono semplici. Come punizione per la rivolta, ognuno dei dodici distretti deve fornire due partecipanti, un ragazzo e una ragazza, chiamati tributi. I ventiquattro tributi vengono rinchiusi in un'ampia arena all'aperto che può contenere di tutto, da un torrido deserto a una landa ghiacciata. Per varie settimane i concorrenti devono combattere sino alla morte. L'ultimo tributo ancora in piedi vince.
* Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!
* Mi offro volontaria come tributo!
* Invece di rispondere all'applauso, me ne resto lì immobile, mentre loro mettono in atto la più audace forma di disapprovazione di cui possono disporre. Il silenzio. Che dice che non siamo d'accordo. Che non perdoniamo. Che tutto questo è sbagliato.
*  Prima uno, poi un altro, poi quasi tutti i componenti del pubblico portano le tre dita di mezzo della mano sinistra alle labbra e le tendono verso di me. È un antico gesto del nostro distretto, un gesto che si usa di rado e si vede qualche volta ai funerali. Significa grazie, significa ammirazione, significa dire addio a una persona a cui vuoi bene.
* Alla fine, arriva anche Gale. Magari non c'è niente di romantico tra noi, però², quando spalanca le braccia, io non esito a tuffarmici dentro. Il suo corpo mi è familiare - il modo in cui si muove, il profumo di fumo di legna che emana, nei momenti di quiete dalla caccia ho imparato a conoscere persino il battito del suo cuore - ma questa è la prima volta che lo sento davvero, snello e muscoloso, contro il mio.
* All'ultimo momento mi ricordo della piccola spilla d'oro di Madge. La studio con attenzione per la prima volta. È come se qualcuno avesse modellato un piccolo uccello d'oro e poi ci avesse fissato un anello intorno. L'uccello è collegato all'anello solo per la punta delle ali. All'improvviso lo riconosco. È una ghiandaia imitatrice. È un buffo uccello, e una sorta di schiaffo morale per Capitol City. Durante la rivolta il governo della capitale fece allevare vari tipi di animali geneticamente modificati da usare come armi. In genere erano definiti ibridi, o ibridume. Uno di quegli animali era un uccello detto ghiandaia chiacchierona, che aveva la facoltà di memorizzare e riferire intere conversazioni umane. Erano uccelli viaggiatori, e solo i maschi furono liberati nelle regioni in cui si sapeva che si nascondevano i nemici di Capitol City. Dopo aver raccolto una certa quantità di discorsi, gli uccelli volavano nei centri dove i loro racconti venivano registrati. La gente ci mise un po' a capire come le conversazioni private venissero trasmesse, poi, ovviamente, i ribelli rifilarono a Capitol City una menzogna dietro l'altra, e tutta la storia divenne una barzelletta. I centri furono chiusi e gli uccelli abbandonati a se stessi. Ma non morirono. Anzi, le ghiandaie chiacchierone si accoppiarono con femmine di mimo e crearono una specie completamente nuova, che poteva riprodurre sia il fischio degli uccelli sia le melodie umane. Avevano perduto la capacità di ripetere frasi e parole, ma riuscivano a imitare certi vocalizzi umani, dal gorgheggio acuto di un bambino ai toni profondi di un uomo. E persino canzoni. Non solo qualche nota musicale, ma intere canzoni, se avevi la pazienza di cantargliele e se a loro piaceva la tua voce.
* -Sono io che faccio le torte - mi confessa. -Le torte? - chiedo. Mi ha impensierito vedere il ragazzo del Distretto 2 che trapassava il cuore di un manichino con una lancia da una distanza di quindici metri. - Quali torte? -A casa. Quelle glassate, per la panetteria – dice. Intende quelle che tengono in vetrina. Torte elaborate, con fiori e decorazioni di glassa. Sono per i compleanni o per Capodanno. Quando siamo in piazza, Prim mi trascina sempre a contemplarle, anche se non ce ne siamo mai potute permettere una. C'è così poca bellezza nel Distretto 12, che non mi sento di dirle di no. Studio il disegno sul braccio di Peeta. Il motivo alternato di luci e ombre ricorda il sole che filtra tra le foglie nei boschi. Mi chiedo da dove gli venga, visto che dubito sia mai stato al di là della recinzione. Forse da quel vecchio melo incolto che c'è nel suo cortile? Per qualche ragione, tutto questo - la sua abilità, quelle torte irraggiungibili, gli apprezzamenti dell'istruttore di mimetizzazione - mi infastidisce. -Carino. Se solo tu potessi glassare a morte qualcuno - dico.
* Gale divenne molto più di un compagno di caccia. Divenne il mio confidente, uno con cui condividere pensieri che non avrei mai potuto esprimere all'interno della recinzione. In cambio, lui mi affidò i suoi. Quando ero nei boschi con Gale, a volte ero davvero felice. Lo chiamo amico, ma nell'ultimo anno questa definizione mi è sembrata riduttiva per quello che Gale significa per me. Una fitta di nostalgia mi attraversa il petto. Se solo fosse con me, adesso! No, in realtà non è questo che voglio. Non vorrei mai Gale nell'arena, a morire nel giro di qualche giorno. È solo... È solo che mi manca. E odio essere così sola. Lui sente la mia mancanza? Deve sentirla.
* A Capitol City la gente fa interventi chirurgici per apparire più giovane e magra. Nel Distretto 12 i segni della vecchiaia sono una specie di conquista, data la quantità di persone che muoiono giovani. Appena vedi un anziano, vuoi quasi congratularti con lui per la sua longevità, chiedergli il segreto della sopravvivenza. Una persona ben pasciuta la invidi, perché non tira avanti a fatica come la maggior parte di noi. Ma qui è diverso. Le rughe non sono apprezzate. Una pancia rotonda non è indice di successo.
* -Spero solo di non comportarmi in modo vergognoso e...- Esita. -E cosa?- chiedo.
-Non so bene come dirlo. Solo non voglio...perdere me stesso. Ha un senso?- chiede. Scuoto la testa. Come potrebbe perdere se stesso? -Non voglio che mi cambino là dentro. Che mi trasformino in una specie di mostro che non sono. Mi mordo il labbro inferiore. Mentre io stavo elucubrando sull'arena e sulla disponibilità di alberi, Peeta era alle prese con il problema di conservare la sua identità. La purezza del suo io. -Vuoi dire che non ucciderai nessuno?- chiedo. -No. Quando arriverà il momento sono sicuro che ucciderò come chiunque altro. Non posso darmi per vinto senza combattere. Solo continuo ad augurarmi di trovare un modo per...per dimostrare a quelli di Capitol City che non sono una loro proprietà. Che sono più di una semplice pedina.
* Buona fortuna, ragazza in fiamme.
* Signore e signori, che i settantaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!
* Sprofondo in un incubo dal quale mi risveglio ripetutamente solo per trovare ad attendermi un terrore più grande. Tutte le cose che temo di più si manifestano in dettagli talmente vividi da togliermi ogni dubbio sulla loro realtà. Ogni volta che mi sveglio, penso “Finalmente è finita”, ma non è mai così. È solo l'inizio di una nuova fase della tortura. In quanti modi guardo Prim morire, rivivo gli ultimi momenti di mio padre, sento il mio corpo squarciarsi? È questa la natura del veleno degli aghi inseguitori, creato per colpire con precisione estrema la zona nel cervello umano in cui dimora la paura.
* Distruggere le cose è molto più facile che fabbricarle.
* Sono quelli di Capitol City che odio, perché stanno facendo questo a tutti noi. La voce di Gale nella mia testa. Le sue farneticazioni contro Capitol City non più prive di senso, non più ignorabili. La morte di Rue mi obbliga ad affrontare la mia stessa ira contro la crudeltà e l'ingiustizia cui ci condannano. Ma qui, ancora più che a casa, mi sento impotente. Non c'è modo di vendicarsi di Capitol City. Oppure c'è? Ricordo le parole di Peeta sul tetto. «Solo continuo ad augurarmi di trovare un modo per... per dimostrare a quelli di Capitol City che non sono una loro proprietà. Che sono più di una semplice pedina nelle loro mani.» E per la prima volta capisco cosa intende.Voglio fare qualcosa, proprio qui, proprio adesso, per farli vergognare, per renderli responsabili, per mostrare a quelli di Capitol City che qualunque cosa facciano o ci costringano a fare, c'è una parte di ciascun tributo che non riusciranno a possedere. Che Rue era qualcosa di più di una pedina nelle loro mani. E anch'io. Nel bosco, a pochi passi, c'è un folto di erbe selvatiche. Forse sono solo erbacce, ma hanno fiori dalle belle sfumature di violetto, giallo e bianco. Ne raccolgo una bracciata e ritorno accanto a Rue. Lentamente, sistemandoli uno alla volta, orno il suo corpo con i fiori. Copro la ferita orrenda. Le inghirlando il viso. Intreccio i suoi capelli di colori vivaci. Dovranno mostrarlo. Oppure, anche se decidono di puntare le telecamere altrove in questo momento, dovranno puntarle di nuovo qui, quando raccoglieranno i corpi, e tutti la vedranno e sapranno che sono stata io a farlo. Faccio un passo indietro e do un ultimo sguardo a Rue. Potrebbe anche essere addormentata in quel prato, dopotutto. -Ciao, Rue - sussurro. Premo le tre dita centrali della mano sinistra contro le labbra e le tendo verso di lei. Poi me ne vado senza voltarmi indietro.
* Apro il paracadute e trovo una pagnottina. Non è di quelle bianche e di buona qualità di Capitol City. E fatta con i cereali scuri razionati e ha la forma di una mezzaluna. Cosparsa di semi. Mi ricordo improvvisamente della lezione di Peeta sui tipi di pane dei vari distretti, al Centro di Addestramento. Questo pane viene dal Distretto 11. Sollevo con cautela la pagnottina ancora calda. Quanto dev'essere costata agli abitanti del Distretto 11 che non riescono a nutrire nemmeno se stessi? Quanti di loro hanno dovuto privarsi di qualcosa per ricavare a fatica una moneta e contribuire alla colletta per questa singola pagnottina? Era destinata a Rue, sicuramente. Ma invece di ritirare il dono, quando lei è morta hanno autorizzato Haymitch a darlo a me. Come ringraziamento? Oppure perché, come a me, a loro non piace lasciare debiti non saldati? Qualunque sia il motivo, questa è una novità assoluta. Un regalo da un distretto a un tributo non suo. Alzo il viso e mi sposto sotto gli ultimi raggi calanti del sole. - I miei ringraziamenti alla gente del Distretto 11 - dico. Voglio che sappiano che so da dove è venuto. Che è stato riconosciuto il valore del loro regalo.
* -Come fai a cacciare? - mi chiede. -Credimi, uccidere è molto più facile - ribatto. - Anche se, per quanto ne so, ti sto uccidendo. -Puoi fare un po' più in fretta? - domanda. -No. Zitto e mangia le tue pere - rispondo.
* Oh, Gale, penso. Se solo fossimo insieme ora...
* Haymitch l'ha detto, che non sarebbe stato facile convincerti.
* - Non morire per me, non mi faresti certo un favore. Siamo d'accordo? Sono sorpresa dalla sua veemenza, ma intravedo una buona opportunità per ottenere del cibo, quindi continuo. - Forse l'ho fatto per me stessa, Peeta, ci hai mai pensato? Forse non sei l'unico... che si preoccupa per... ciò che succederebbe se... Farfuglio. Non ci so fare come Peeta con le parole. E mentre sto parlando, l'idea di perderlo davvero mi colpisce di nuovo e mi rendo conto che non voglio assolutamente che muoia. E non è per gli sponsor. Non è per ciò che accadrà a casa. Non è solo che non voglio restare sola. È per lui. Non voglio perdere il ragazzo del pane.
* «Un minatore di carbone? Perché ha voluto un minatore di carbone se poteva avere te?» Lui rispose: «Perché quando canta... si fermano ad ascoltare persino gli uccelli».
* Ho passato tanto tempo ad assicurarmi di non sottovalutare i miei avversari che ho dimenticato quanto sia pericoloso sopravvalutarli.
* Signore e signori, sono lieto di presentarvi i vincitori dei Settantaquattresimi Hunger Games, Katniss Everdeen e Peeta Mellark! Ecco a voi... i tributi del Distretto 12!
* Non ho neanche cominciato ad analizzare i miei sentimenti per Peeta. E troppo complicato. C'è quello che ho fatto per il programma, per le telecamere. Che si contrappone a quello che ho fatto per rabbia, quando ero a Capitol City. O a quello che ho fatto pensando a come sarebbe stato giudicato nel Distretto 12. O a quello che ho fatto semplicemente perché era l'unica cosa giusta da fare. E poi c'è quello che ho fatto perché mi importava di lui. Questi sono punti che andranno chiariti a casa, nella pace e nel silenzio dei boschi, quando nessuno mi starà guardando. Non qui, con gli occhi di tutti su di me. Ma non avrò quel lusso per chissà quanto tempo. E adesso la parte più pericolosa degli Hunger Games sta per cominciare.
* Voglio dirgli che non si sta comportando in modo corretto. Che io e lui eravamo estranei. Che ho fatto quello che serviva per mantenermi in vita, per mantenerci entrambi in vita nell'arena. Che non posso spiegargli come stanno le cose con Gale, perché non lo so nemmeno io. Che amarmi non è una buona cosa, perché non mi sposerò mai e lui finirebbe solo con l'odiarmi più avanti invece di adesso. Che non ha importanza se provo davvero qualcosa per lui, perché non potrò mai permettermi il genere di amore che porta a metter su una famiglia, a fare dei figli. Come fa a pensarlo, lui? Come fa, dopo quello che abbiamo appena passato? Voglio anche dirgli quanto già mi manca. Ma non sarebbe corretto da parte mia.

Internet
Il sito della casa editrice Scholastic: www.scholastic.com/thehungergames/
Trailer del film: http://youtu.be/llZXKur1bHQ


Dati tecnici
Suzanne Collins, Hunger Games, Mondadori, pagine 341
ISBN: 9788804621614

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