mercoledì 18 novembre 2015

UNA MALA JURNATA PER PORTANOVA - Alberto Minnella

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A metà giugno, il termometro stava ancora fisso sui sedici gradi sopra lo zero e per ogni siracusano che fosse tale, data la stagione, quello era freddo da orbi.
In via Cavour si era spenta l’ultima finestra. Poco più avanti, nella piazza in cui si affacciava il tempio di Apollo, l’orologio a lampione segnava le due e mezza di notte.

Da un po’ di tempo ormai ci aggiravamo per le strade di una Siracusa della metà degli anni ’60 sperando di incontrare ancora il commissario Paolo Portanova. Ci chiedevamo cosa stesse facendo, quali fossero i suoi pensieri, i suoi piani. Volevamo sapere di più sul suo conto e, mossi da una (in)sana curiosità, la domanda che ponevamo in giro  era più o meno : “ quando uscirà…?”
Ed ecco che le nostre richieste sono state soddisfatte, le nostre domande hanno ricevuto risposta e il commissario Portanova è uscito nuovamente allo scoperto per regalarci un’altra delle sue storie dai toni noir, ma, questa volta, con qualche spruzzata di pungente ironia.
Immaginate la giusta atmosfera. Siamo in giugno e, come spesso accade in Sicilia, le temperature mutano repentinamente e l’aria, da 
fresca ancora che è, diventa rovente. Ecco, ci troviamo proprio in questa fase climatica nel momento in cui il mare,  tanto generoso alcune volte quanto altre crudele, restituisce alla terra il corpo senza vita del giovane “Salvatore Spicuglia di anni venti”.
Da qui una giostra di personaggi contribuiranno a mettere in scena questa nuova avventura siracusana del commissario Portanova: Andreina,  madre del defunto, la cognata Gina, Gurciullo, il giudice Piccolo, Viganò, Iannelli, la vicina di casa Lucia (che renderà ancora più complicata la vita del commissario il quale, nel momento in cui la vicenda si svolge, si trova fisicamente lontano dalla moglie Carla in trasferta a Catania). E poi ancora altre figure le quali formano un incastro perfetto con l’ambiente circostante e con la storia. Ambienti e paesaggi  che, come deve accadere nel noir, sono personaggi essi stessi.
Tanti elementi della storia ci parlano dei gusti di Portanova e dei suoi tempi “Paesi tuoi di Pavese, letto per metà, La mia prima evasione di Trockij” e melodie che si ascoltano in sottofondo quali “Parlami d’amore Mariù” e “T’ho voluto bene” di Gino Redi.
La novità principale di questo nuovo lavoro riguarda la narrazione in prima persona che ci permette di conoscere Paolo Portanova ascoltando la sua stessa voce, entrando nel personaggio e guardando il mondo con i suoi occhi.
Un mondo che lo pone dinnanzi , spesso e volentieri, alla necessità di adeguarsi a quella che si presenta, già al mattino, come una “mala jurnata”.
La storia prende il lettore sin dalle prime righe e a quest’ultimo riesce difficile staccare gli occhi dal romanzo poichè ci si trova, quasi senza rendersene conto, ad inseguire, sfogliando le pagine una dopo l’altra , il commissario nella sua corsa alla ricerca del colpevole. E alla fine di questa frenetica caccia ci si rende conto di aver assimilato e compreso con leggerezza e quasi inconsapevolmente, quelle che sono le caratteristiche di Portanova, le sue abitudini, i suoi fantasmi, e tutto senza che “troppo” venga spiegato, senza forzature.
In questo secondo episodio prendono il via nuove storie nella storia e, un po’ alla volta, si inizia ad affezionarsi sempre più ai personaggi. Cosa questa che è giusto accada in un romanzo seriale perché si possa affermare  che l’autore abbia ottenuto il risultato sperato, che abbia  colto nel segno.
Ma come ci si affeziona ai personaggi ci si lega anche ai luoghi. Riusciamo quasi a vederli, a sentire il calore del sole, la forte luce emanata da questo, l’odore tipico delle navi e del porto, il sapore degli arancini e il gusto fresco di una birra ghiacciata.
Allora quello che vi consiglio e di trovare un momento di quiete nelle vostre settimane frenetiche e di sedervi sul vostro comodo divano, avendo l’accortezza di lasciare un po’ di spazio al commissario Portanova il quale sarà ben lieto di sedere accanto a voi e raccontarvi quella che per lui è stata davvero  “Una mala jurnata”.

Alcuni passi tratti dal romanzo:
-        
           - Preso dallo sconforto, corsi ai ripari; succhiai l’Extravecchio con più calma e mi persi a occhi chiusi in mezzo agli sbuffi di tabacco, abbandonandomi senza difese. Non potevo farne a meno. Del resto questa era la mia natura di siciliano di origine incontrollata

     Pensai alla storia che mi aveva raccontato Camurro, a mattinata iniziata, della nave di grano che trecento anni prima salvò un suo probabile antenato dalla fame e della successiva tradizione di mangiarlo bollito senza macinarlo. In sostanza parlava della cuccìa, un piatto di parternità siracusana e diffusosi in tutta la Sicilia […]arrivato lì, stremato dal caldo, mi domandai, ma durò solo un attimo, come mai quell’acqua avesse smesso di portare fortuna e, invece, con testardaggine restituiva al mittente tutto ciò che produceva l’invidia, la gelosia, l’ignavia; la cattiveria umana, insomma
    
 
        Una mala jurnata per Portanova  
          Alberto Minnella
          Fratelli Frilli editori € 9,90

L’autore, Alberto Minnella, che abbiamo conosciuto con “Il gioco delle sette pietre” (prima
avventura del Commissario Portanova) edito anch’esso da Fratelli Frilli editori, è nato ad Agrigento nel 1985. Ha lavorato come giornalista per il “Corriere di Sicilia” e per il “Giornale di Sicilia” . E’ stato critico musicale per Ilmegafono.org, Mag-magazine e Indie for Bunnies. Ha studiato musica moderna a Parigi, presso l’accademia Dante Agostini. Un suo racconto “Il negozio del fotografo” è stato finalista al Premio Città di Palermo

Tre domande ad Alberto Minnella 

1.Abbiamo notato che dal primo romanzo a questo secondo si è passati dalla narrazione in terza persona a quella in prima persona. Puoi quindi darci un parere sul campo, ossia, hai trovato più difficile il primo tipo di narrazione o il secondo? E perché?

R. Dopo la terza stesura (in terza persona) di questo secondo capitolo che vede ancora una volta il commissario Portanova come protagonista, ho avuto grosse difficoltà nel far quadrare tutto. Insomma, non girava! Alla quarta, dopo un centinaio di correzioni, ho cestinato il romanzo. Per quasi un anno sono entrato in crisi creativa, riconsiderando soprattutto le mie forse inesistenti doti di romanziere. Poi, per fortuna mia, rileggendo “Lame di luce” di Michael Connelly ho avuto quella che molti mi consigliavano fosse “una pessima idea”: riscrivere tutto il romanzo e spostare la visuale in prima persona, con conseguente ritardo di consegna del manoscritto (pari a più di un paio di mesi al di là dalla scadenza). In sostanza, sarebbe stato Portanova stesso a raccontare la storia (una pessima idea?). Già dal primo capitolo, notavo che da scrivere fosse per me più divertente, il ritmo delle pagine è diventato più serrato e ha reso possibile rendere faziosa qualsiasi impressione sugli ambienti e sugli altri personaggi. Per meglio distruggere la solennità del genere poliziesco, giusto per non farmi mancare niente, ho usato un codice linguistico ovviamente diverso dal “Gioco delle sette pietre”, più basso e pratico (alla faccia degli Jakobson di turno), sporcato con qualche goccia di dialetto e con la tendenza alla costruzione della frase secondo Lingua Sicula. Ne è uscito fuori un commissario più ironico e ancora più malinconico. Sono emerse le sue fragilità, i segni dell’età che è costretto a trascinarsi e le sue nevrosi. Infine, durante l’ultima correzione, ho cercato di limare le pagine giocando con l’”antilingua delle carte bollate”. Non so se è stata o meno una pessima idea, ma avevo una voglia incredibile di divertirmi, di mettermi in gioco (correndo più di qualche rischio) e di continuare questa strada difficilissima che è il raccontare.  
    
     2. Nel primo romanzo l’umore di Portanova era molto cupo, in perfetto stile noir del resto. Adesso troviamo qualche scena un po’ più “frizzante” che fa anche sorridere il lettore. Ti chiedo: è stata una scelta ponderata o questo piccolo cambiamento è dovuto ad una maggiore confidenza dell’autore col suo personaggio?

R. Come ti raccontavo prima, in realtà l’umore del commissario è venuto fuori del tutto in maniera spontanea, legato al processo di scrittura. Evidentemente immaginavo così questo personaggio e la prima persona ha evidenziato le sue caratteristiche, facilitandomi nel compito di raccontare un poliziotto che non è e non fa l’eroe, ma che deve forzatamente uscire dalla mediocrità della sua vita cercando di risolvere il caso che gli spetta di turno.
     
3. Legandomi alla domanda precedente ti chiedo se puoi confermare la teoria di molti autori, ossia quella secondo la quale i personaggi di un romanzo seriale cominciano a prendere sempre più corpo e vita storia dopo storia, quasi a diventare dei compagni delle giornate di uno scrittore e a raccontare essi stessi le storie che vogliono vengano messe nero su bianco.

R. Confermo e ti dico di più. Adesso che sto scrivendo il terzo e ultimo capitolo riguardante 1964, in cui ci saranno dei veri e propri ribaltoni, sento l’esigenza non solo di programmarne un quarto, ma anche un quinto e un sesto, così da non avere nessuna pausa di scrittura e poter litigare e ridere con i personaggi delle mie storie. Non sono affatto un genio della letteratura o un innovatore, nemmeno del genere giallo, ma non me ne importa un fico secco. Lo dico sinceramente. Adoro sporcarmi le mani con questi finti e per questo illimitati omini di carta e inchiostro, sono orgoglioso della serie di Potanova, resa possibile grazie ai Fratelli Frilli Editori, e mi arricrìa tantissimo scoprire, ogni santa volta, piccolissime sfumature sia del commissario sia degli altri personaggi che gli ruotano scomposti intorno, che prima non avevo ancora notato. Succede lo stesso con la città e il calarci dentro il giallo. E in questo, casomai, credo risieda l’originalità dei miei racconti: esserci io in ogni pagina e non un altro scrittore.  
   
            

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