A metà giugno, il termometro
stava ancora fisso sui sedici gradi sopra lo zero e per ogni siracusano che
fosse tale, data la stagione, quello era freddo da orbi.
In via Cavour si era spenta
l’ultima finestra. Poco più avanti, nella piazza in cui si affacciava il tempio
di Apollo, l’orologio a lampione segnava le due e mezza di notte.
Da un po’ di
tempo ormai ci aggiravamo per le strade di una Siracusa della metà degli anni
’60 sperando di incontrare ancora il commissario Paolo Portanova. Ci chiedevamo
cosa stesse facendo, quali fossero i suoi pensieri, i suoi piani. Volevamo
sapere di più sul suo conto e, mossi da una (in)sana curiosità, la domanda che
ponevamo in giro era più o meno : “
quando uscirà…?”
Ed ecco che
le nostre richieste sono state soddisfatte, le nostre domande hanno ricevuto
risposta e il commissario Portanova è uscito nuovamente allo scoperto per
regalarci un’altra delle sue storie dai toni noir, ma, questa volta, con
qualche spruzzata di pungente ironia.
Immaginate
la giusta atmosfera. Siamo in giugno e, come spesso accade in Sicilia, le
temperature mutano repentinamente e l’aria, da
fresca ancora che è, diventa
rovente. Ecco, ci troviamo proprio in questa fase climatica nel momento in cui
il mare, tanto generoso alcune volte
quanto altre crudele, restituisce alla terra il corpo senza vita del giovane
“Salvatore Spicuglia di anni venti”.
Da qui una
giostra di personaggi contribuiranno a mettere in scena questa nuova avventura
siracusana del commissario Portanova: Andreina,
madre del defunto, la cognata Gina, Gurciullo, il giudice Piccolo,
Viganò, Iannelli, la vicina di casa Lucia (che renderà ancora più complicata la
vita del commissario il quale, nel momento in cui la vicenda si svolge, si
trova fisicamente lontano dalla moglie Carla in trasferta a Catania). E poi
ancora altre figure le quali formano un incastro perfetto con l’ambiente
circostante e con la storia. Ambienti e paesaggi che, come deve accadere nel noir, sono
personaggi essi stessi.
Tanti
elementi della storia ci parlano dei gusti di Portanova e dei suoi tempi “Paesi
tuoi di Pavese, letto per metà, La mia prima evasione di Trockij” e melodie che
si ascoltano in sottofondo quali “Parlami d’amore Mariù” e “T’ho voluto bene”
di Gino Redi.
La novità
principale di questo nuovo lavoro riguarda la narrazione in prima persona che
ci permette di conoscere Paolo Portanova ascoltando la sua stessa voce,
entrando nel personaggio e guardando il mondo con i suoi occhi.
Un mondo che
lo pone dinnanzi , spesso e volentieri, alla necessità di adeguarsi a quella
che si presenta, già al mattino, come una “mala jurnata”.
La storia
prende il lettore sin dalle prime righe e a quest’ultimo riesce difficile
staccare gli occhi dal romanzo poichè ci si trova, quasi senza rendersene
conto, ad inseguire, sfogliando le pagine una dopo l’altra , il commissario
nella sua corsa alla ricerca del colpevole. E alla fine di questa frenetica
caccia ci si rende conto di aver assimilato e compreso con leggerezza e quasi
inconsapevolmente, quelle che sono le caratteristiche di Portanova, le sue
abitudini, i suoi fantasmi, e tutto senza che “troppo” venga spiegato, senza
forzature.
In questo
secondo episodio prendono il via nuove storie nella storia e, un po’ alla
volta, si inizia ad affezionarsi sempre più ai personaggi. Cosa questa che è
giusto accada in un romanzo seriale perché si possa affermare che l’autore abbia ottenuto il risultato
sperato, che abbia colto nel segno.
Ma come ci
si affeziona ai personaggi ci si lega anche ai luoghi. Riusciamo quasi a vederli,
a sentire il calore del sole, la forte luce emanata da questo, l’odore tipico
delle navi e del porto, il sapore degli arancini e il gusto fresco di una birra
ghiacciata.
Allora
quello che vi consiglio e di trovare un momento di quiete nelle vostre settimane
frenetiche e di sedervi sul vostro comodo divano, avendo l’accortezza di
lasciare un po’ di spazio al commissario Portanova il quale sarà ben lieto di
sedere accanto a voi e raccontarvi quella che per lui è stata davvero “Una mala jurnata”.
Alcuni passi
tratti dal romanzo:
-
- Preso dallo sconforto, corsi ai
ripari; succhiai l’Extravecchio con più calma e mi persi a occhi chiusi in
mezzo agli sbuffi di tabacco, abbandonandomi senza difese. Non potevo farne a
meno. Del resto questa era la mia natura di siciliano di origine incontrollata
Una mala jurnata per Portanova
Alberto Minnella
Fratelli Frilli editori € 9,90
L’autore, Alberto Minnella, che abbiamo
conosciuto con “Il gioco delle sette
pietre” (prima
avventura del Commissario Portanova) edito anch’esso da
Fratelli Frilli editori, è nato ad Agrigento nel 1985. Ha lavorato come
giornalista per il “Corriere di Sicilia” e per il “Giornale di Sicilia” . E’
stato critico musicale per Ilmegafono.org, Mag-magazine e Indie for Bunnies. Ha
studiato musica moderna a Parigi, presso l’accademia Dante Agostini. Un suo
racconto “Il negozio del fotografo” è stato finalista al Premio Città di
Palermo
Tre domande ad Alberto Minnella
1.Abbiamo notato che dal primo romanzo a questo
secondo si è passati dalla narrazione in terza persona a quella in prima
persona. Puoi quindi darci un parere sul campo, ossia, hai trovato più
difficile il primo tipo di narrazione o il secondo? E perché?
R. Dopo la terza stesura (in terza
persona) di questo secondo capitolo che vede ancora una volta il commissario
Portanova come protagonista, ho avuto grosse difficoltà nel far quadrare tutto.
Insomma, non girava! Alla quarta,
dopo un centinaio di correzioni, ho cestinato il romanzo. Per quasi un anno
sono entrato in crisi creativa, riconsiderando soprattutto le mie forse
inesistenti doti di romanziere. Poi, per fortuna mia, rileggendo “Lame di luce”
di Michael Connelly ho avuto quella che molti mi consigliavano fosse “una
pessima idea”: riscrivere tutto il romanzo e spostare la visuale in prima
persona, con conseguente ritardo di consegna del manoscritto (pari a più di un
paio di mesi al di là dalla scadenza). In sostanza, sarebbe stato Portanova
stesso a raccontare la storia (una pessima idea?). Già dal primo capitolo,
notavo che da scrivere fosse per me più divertente, il ritmo delle pagine è
diventato più serrato e ha reso possibile rendere faziosa qualsiasi impressione
sugli ambienti e sugli altri personaggi. Per meglio distruggere la solennità
del genere poliziesco, giusto per non farmi mancare niente, ho usato un codice
linguistico ovviamente diverso dal “Gioco delle sette pietre”, più basso e pratico
(alla faccia degli Jakobson di turno), sporcato con qualche goccia di dialetto
e con la tendenza alla costruzione della frase secondo Lingua Sicula. Ne è
uscito fuori un commissario più ironico e ancora più malinconico. Sono emerse
le sue fragilità, i segni dell’età che è costretto a trascinarsi e le sue
nevrosi. Infine, durante l’ultima correzione, ho cercato di limare le pagine
giocando con l’”antilingua delle carte bollate”. Non so se è stata o meno una
pessima idea, ma avevo una voglia incredibile di divertirmi, di mettermi in
gioco (correndo più di qualche rischio) e di continuare questa strada
difficilissima che è il raccontare.
2. Nel primo romanzo l’umore di Portanova era molto
cupo, in perfetto stile noir del resto. Adesso troviamo qualche scena un po’
più “frizzante” che fa anche sorridere il lettore. Ti chiedo: è stata una
scelta ponderata o questo piccolo cambiamento è dovuto ad una maggiore
confidenza dell’autore col suo personaggio?
R. Come ti raccontavo prima, in
realtà l’umore del commissario è venuto fuori del tutto in maniera spontanea,
legato al processo di scrittura. Evidentemente immaginavo così questo
personaggio e la prima persona ha evidenziato le sue caratteristiche,
facilitandomi nel compito di raccontare un poliziotto che non è e non fa
l’eroe, ma che deve forzatamente uscire dalla mediocrità della sua vita
cercando di risolvere il caso che gli spetta di turno.
3. Legandomi alla domanda precedente ti chiedo se puoi
confermare la teoria di molti autori, ossia quella secondo la quale i
personaggi di un romanzo seriale cominciano a prendere sempre più corpo e vita storia
dopo storia, quasi a diventare dei compagni delle giornate di uno scrittore e a
raccontare essi stessi le storie che vogliono vengano messe nero su bianco.
R. Confermo e ti dico di più. Adesso che sto scrivendo il
terzo e ultimo capitolo riguardante 1964, in cui ci saranno dei veri e propri
ribaltoni, sento l’esigenza non solo di programmarne un quarto, ma anche un
quinto e un sesto, così da non avere nessuna pausa di scrittura e poter
litigare e ridere con i personaggi delle mie storie. Non sono affatto un genio
della letteratura o un innovatore, nemmeno del genere giallo, ma non me ne
importa un fico secco. Lo dico sinceramente. Adoro sporcarmi le mani con questi
finti e per questo illimitati omini di carta e inchiostro, sono orgoglioso
della serie di Potanova, resa possibile grazie ai Fratelli Frilli Editori, e mi
arricrìa tantissimo scoprire, ogni
santa volta, piccolissime sfumature sia del commissario sia degli altri
personaggi che gli ruotano scomposti intorno, che prima non avevo ancora notato.
Succede lo stesso con la città e il calarci dentro il giallo. E in questo,
casomai, credo risieda l’originalità dei miei racconti: esserci io in ogni
pagina e non un altro scrittore.
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